Uno dei principali benefici che derivano dall’utilizzo della PEC riguarda l’ambiente. Lo conferma la nuova analisi quantitativa sulla digitalizzazione della comunicazione in Italia, realizzata dall’International Data Corporation (IDC), su richiesta di Aruba, InfoCert e Tim Enterprise tramite Trust Technologies, con riferimento a un periodo di previsione che copre il triennio 2023-2026. Il White Paper IDC, infatti, nel confermare i risultati e le proiezioni delle precedenti indagini sugli sviluppi dell’utilizzo della PEC rispetto ai tradizionali servizi postali di corrispondenza e sui vantaggi che ne discendono, pone in evidenza la riduzione degli spostamenti effettuati da cittadini, professionisti, imprese e PA dalle proprie sedi per raggiungere fisicamente gli uffici postali (fenomeno battezzato quale “mobilità frizionale”), l’abbattimento dell’anidride carbonica che ne consegue (cui si aggiunge l’ulteriore riduzione per il fatto che la PEC viaggia per via elettronica e non con mezzi che si muovano per mare, terra o aria) e, infine, il risparmio di carta utilizzata per fogli, buste, conferme di ricezione da parte dell'ufficio postale e ricevute di ritorno, cui consegue il risparmio dei relativi alberi necessari per produrre tutto ciò.
Insomma, sembra proprio che la transizione dalla posta tradizionale a quella elettronica certificata faccia bene anche all’ambiente, rientrando così tra una delle scelte consapevoli che possono essere effettuate dagli utenti nell’ottica della transizione ecologica e dell’economia circolare.
Nel solo
2026, i
benefici totali attesi dall’impiego della
PEC saranno di circa 650 milioni di euro e comprenderanno l’effetto economico associato alla sostituzione della posta tradizionale, nonché i risparmi derivanti dalla riduzione della mobilità degli utenti, dell’impronta carbonica, dei tempi di attesa, degli spazi di archiviazione e dell’abbattimento di alberi.
Sono cifre enormi, che gli esperti della
International Data Corporation (IDC) mettono in luce nel
White Paper, intitolato “
Benefici e opportunità della PEC: pilastro dei servizi digitali fiduciari del futuro” (gennaio 2024).
Il passaggio alla PEC, dunque, ci sta aiutando ad andare ben oltre il “semplice” obiettivo della semplificazione delle procedure e delle pratiche amministrative, laddove si pensi che i
numeri sui quali si ragiona sono ragguardevolissimi: l’IDC stima, infatti, che vi saranno 20 milioni di indirizzi PEC attivi nel 2026 in Italia (pari a poco meno del 18% dei cittadini nella fascia di età tra 18 e 65 anni), per un totale di quasi 3 miliardi e mezzo di messaggi certificati inviati.
Una trasformazione digitale a misura di imprese e cittadini
Promosso da Aruba, InfoCert e
Trust Technologies, con riferimento a un periodo di previsione che copre il triennio 2023-2026, il nuovo
report dell’IDC - società mondiale specializzata in
market intelligence, servizi di
advisory e organizzazione di eventi nell’ambito digitale e ICT - presenta innanzitutto il
processo di trasformazione digitale in atto in questi anni in Europa: realizzato grazie a principi, programmi e normative che mirano a rendere i servizi digitali pubblici (e privati) sicuri e inclusivi, tale processo punta a garantire una piena fiducia di imprese e cittadini UE nei confronti del mondo digitale, in applicazione di ciò che è, per l’appunto, chiamato
Principio della Fiducia Digitale.
La realtà italiana
In
Italia, in particolare, uno dei fattori principali che ha portato allo sviluppo di molti servizi fiduciari digitali (
Digital Trust Services) viene individuato nell’implementazione della prima versione del Reg. (UE) n. 910/2014. Tali
servizi elettronici sono molto utilizzati e vanno a formare una costellazione variegata e sinergica, composta da:
- SPID (servizio di identificazione digitale che consente ai cittadini di accedere a servizi online forniti da pubblici o privati in modo sicuro e affidabile);
- PEC (sistema di posta elettronica certificata che assicura validità legale, integrità e autenticità delle comunicazioni, aumentando la sicurezza e l’affidabilità delle stesse);
- CIE (la nuova carta di identità elettronica, che permette ai cittadini di autenticarsi online, in modo sicuro, per usufruire di servizi digitali);
- Firma digitale (metodo avanzato per firmare documenti o messaggi digitali, garantendone autenticità, integrità e non ripudiabilità del contenuto, strumento valido anche al di fuori della giurisdizione italiana) e
- Domicilio digitale (dal 6 giugno 2023, qualsiasi cittadino maggiorenne e titolare di un indirizzo PEC può eleggere il proprio domicilio digitale su INAD, Indice Nazionale dei Domicili digitali).
L’Italia è sotto tale profilo all’
avanguardia rispetto alla media europea, come risulta dalle rilevazioni annuali dell’
e-Government benchmark, in cui risulta collocata, in alcuni casi in posizione migliore rispetto agli altri Stati UE per quanto riguarda:
- la disponibilità dei servizi online;
- la trasparenza dell’utilizzo dei dati personali e
- la comunicazione tramite posta certificata.
In questo quadro, la
PEC - grazie all’introduzione di una serie di obblighi di legge, all’azione coordinata dell'Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) e all’ecosistema di fornitori qualificati di servizi digitali fiduciari - può essere ben vista oggi quale
pilastro dei servizi digitali fiduciari in Italia, avviandosi a evolvere ulteriormente nel quadro di nuovi
framework e casi d’uso, comprendenti futuri scenari di applicazione tra Paesi dell’UE.
I benefici ambientali della PEC
Un aspetto positivo che emerge dal
White Paper IDC, non meno rilevante rispetto al risparmio economico primario derivante dalla digitalizzazione della comunicazione, è quello che riguarda un ventaglio di
ulteriori benefici, in cui saltano all’occhio quelli relativi all’
ambiente e, cioè:
- riduzione della mobilità frizionale;
- abbattimento dell’impronta carbonica;
- eliminazione dei tempi di attesa;
- liberazione degli spazi di archivio;
- risparmio di carta e conseguente risparmio di alberi.
Soffermiamoci, per l’appunto, su quelli che possiamo definire più strettamente
“benefici ambientali”.
Riduzione della mobilità frizionale
Innanzitutto, troviamo la riduzione di quella che gli analisti della IDC chiamano “
mobilità frizionale”: con questa espressione “tecnica”, si intende lo
spostamento effettuato dal domicilio del cittadino, dalla sede del libero professionista, dell'impresa e della Pubblica Amministrazione, al fine di
recarsi fisicamente presso l’ufficio postale e così accedere ai servizi di corrispondenza tradizionale.
Secondo le stime dell’IDC, nel 2026 la riduzione della mobilità frizionale grazie alla PEC raggiungerà 349 milioni di chilometri, un incremento del 35,8% rispetto al dato storico del 2022.
Il calcolo è stato operato tenendo conto delle distanze relative alle aree di copertura geografica degli uffici postali in Italia, del volume di posta “sostituita”, consistente in particolare in raccomandate, posta assicurata e atti giudiziari (nel
report, si parla di “
posta descritta”), del numero di messaggi PEC, operando su tali dati un’operazione di stima del tasso di sostituzione posta descritta/PEC (elaborazione IDC, in base ai dati forniti dalle Poste Italiane e dall’AgID).
Abbattimento dell'impronta carbonica
Ben si può intendere che, se “si toglie dalla strada” - semplifichiamo - tutto il traffico generato da chi va all’ufficio postale per spedire una raccomandata A/R, si avrà un beneficio anche in termini di
minori emissioni di CO2, oltre che di ulteriori sostanze inquinanti e “climalteranti”.
Insomma, a una riduzione di quella che, come si è detto, l’IDC definisce quale “
mobilità frizionale”, corrisponde una riduzione degli impatti ambientali connessi a tale mobilità e, innanzitutto, una riduzione dell'emissione di CO2, che riguarda non solo lo spostamento degli utenti dal loro domicilio agli uffici postali, ma anche delle flotte postali: secondo l’IDC, il contributo della PEC alla riduzione dell’impronta carbonica porterà, nel 2026, a un risparmio di 107.000 tonnellate di CO2.
Nello studio, peraltro, non si analizzano gli ulteriori risparmi connessi a un
minore uso dei mezzi e delle strade, che, di norma, da ciò vengono usurate.
L’IDC ha calcolato la riduzione dell’impronta carbonica partendo dalla stima della riduzione della mobilità frizionale, adottando opportuni fattori di conversione dell’impronta carbonica della mobilità frizionale (per questo si è basata sul
Greenhouse Gas Protocol) e utilizzando i dati generali relativi al parco automobilistico nazionale forniti dall’ACI. È stato dato poi un valore economico all’impronta carbonica sulla base della serie storica dei prezzi dei CO2
futures disponibili su
investing.com (con relativa proiezione fino al 2026).
Risparmio in termini di alberi non abbattuti
Ulteriormente interessante si presenta l’aspetto relativo al
risparmio di alberi utilizzati nella produzione di carta per fogli, buste e relativa carta utilizzata dagli uffici postali per la conferma di ricezione e ricevute di ritorno.
Lo studio IDC considera che un albero con un peso medio di 130 chilogrammi sia in grado di produrre circa 30,7 risme di carta, il che corrisponde a 153.000 fogli di carta: secondo l’analisi, nel 2026, ben 70.921 alberi non verranno abbattuti grazie al risparmio di carta derivante dall’uso della PEC.
Fonte ricerca IDC - Per visualizzare tutti i risultati della ricerca,
scarica l’infografica.
A cura di Wolters Kluwer