Fatta chiarezza sui vantaggi e sulle differenze tra cloud e colocation, è arrivato il momento di parlare di cloud ibrido, ovvero una terza soluzione rispetto ai due modelli precedenti. Il concetto alla base dell’hybrid cloud è piuttosto semplice: è l’unione (o forse sarebbe meglio parlare di incontro) di due o più infrastrutture cloud (siano esse private, pubbliche o di terze parti) intercomunicanti ma che rimangono comunque entità a sé stanti.
Una soluzione, quella dell’hybrid cloud, che sta trovando spazi e consensi sempre maggiori nelle aziende di tutto il mondo, e al quale le PMI italiane ricorrono sempre più spesso.
L’obiettivo, ovviamente, è riuscire a trarre ogni vantaggio possibile mettendo a fattore comune ciò che le diverse piattaforme possono offrire. In altre parole, è possibile ospitare i propri dati e le proprie applicazioni in parte su cloud pubblico e in parte sull’infrastruttura privata e ripartire in modo bilanciato il carico di lavoro a seconda delle esigenze uniche dell’impresa.
L’esigenza alla base della scelta di una soluzione ibrida rispetto all’utilizzo di un modello esclusivamente pubblico oppure on-premise è insita nel concetto digital transformation: disporre della massima flessibilità per far fronte a un mercato in continuo movimento, in cui i dati assumono più importanza ogni giorno che passa. Molte piccole e medie imprese vivono la necessità di adattarsi ai bisogni specifici dei rispettivi mercati, e sono questi stessi bisogni il motore principale della rivoluzione digitale. Cloud, colocation e strutture on-premise non sempre permettono lo sviluppo di un’infrastruttura ideale, per cui si è reso necessario trovare una soluzione nuova, in grado di soddisfare la ricerca di esigenze sempre più reattive e scalabili.
Quali sono le implicazioni del passaggio a una struttura ibrida?
Spostarsi verso un’infrastruttura ibrida significa necessariamente attivare un percorso di trasformazione tecnologica e organizzativa. Questo implica soprattutto ripensare alle proprie esigenze e valutare lo stato attuale delle proprie risorse. È necessario comprendere i flussi e le motivazioni che spingono verso una soluzione ibrida per capire quali applicativi e servizi vadano esternalizzati, come integrare gli ambienti e garantire alti livelli di sicurezza. Una mole di lavoro sicuramente importante, che tuttavia non deve spaventare i CIO: il vantaggio di grandi service provider come Aruba consiste proprio nella capacità di fornire l’assistenza e l’expertise necessarie per rendere il passaggio meno traumatico possibile e garantire al contempo SLA di alto livello, attestati dalle numerose certificazioni conseguite.
Le aziende che portano a compimento il processo di trasformazione ne raccolgono i benefici in termini di flessibilità e reattività, ma non solo. Il principale vantaggio dell’hybrid cloud è rappresentato di certo dalla possibilità di ottimizzare i flussi e i carichi di lavoro nell’ambiente di volta in volta più adatto e di gestire così costi e risorse dinamicamente. Ma un ambiente ibrido non risolve il problema di per sé, lo fa in conseguenza alla possibilità di gestire la propria infrastruttura e servizi in un’unica dashboard fornita dal provider. È proprio questo il vero vantaggio: la possibilità di eliminare qualsiasi confusione generata dall’utilizzo di soluzioni separate e avere al contempo un controllo totale sulla spesa, sui tempi di uptime e sulle risorse impiegate in funzione delle necessità reali e contingenti dell’azienda, ora pronta ad affrontare i mercati e di generare un valore aggiunto per l’utenza finale.