Le ragioni che portano alla
migrazione di un’intera infrastruttura, o di una porzione ben definita, possono essere di varia natura ma spesso riguardano la riduzione dei costi, la necessità di concentrarsi sul proprio core business, il miglioramento dei servizi o la velocizzazione degli stessi.
Come evidenzia IDC in un recente studio, già tre CIO su quattro hanno scelto di adottare un approccio "
cloud first" (trovi maggiori dettagli sull'approccio cloud first in
questo articolo) o "cloud also" per supportare le nuove iniziative di business delle proprie aziende. E non è un caso che un terzo dei CIO italiani consideri il cloud come imprescindibile per il raggiungimento degli obiettivi di trasformazione digitale.
La roadmap tecnologica delle imprese italiane è chiara: il cloud è in cima alle priorità di investimento nel biennio 2019-2020. Chi ha già migrato parte delle attività e dei workload ha già cominciato a beneficiare di una maggiore versatilità di gestione e impiego delle infrastrutture e della disponibilità dei dati, anche rispetto alla forza lavoro in mobilità.
Il termine
migrazione è dunque oggi particolarmente attuale e può esprimersi in più varianti: le attività che prevedono lo spostamento dell’infrastruttura da un provider a un altro; il passaggio da un ambiente fisico a un ambiente virtuale; le operazioni da mettere in atto per traghettare la propria infrastruttura dalla dimensione in-house a alla dimensione in outsourcing. Il processo di migrazione, in ogni caso e in qualsiasi contesto IT, può nascondere insidie e difficoltà; quando si parla di cloud risulta determinante un approccio analitico scrupoloso.
Parliamo infatti di un percorso da studiare a tavolino e a livello pratico; è fondamentale inquadrare con attenzione oggetti e piattaforme da migrare, al fine di progettare, senza sprechi, un’infrastruttura ottimale per le specifiche esigenze dell’impresa. Solo un ambiente realizzato su misura può infatti rispondere alle necessità di uno specifico contesto di lavoro, accelerando veramente il business.
Una volta progettata e costruita l’infrastruttura è il momento del passaggio alla migrazione vera e propria. Fatte salve le dinamiche legate al provider e al supporto hardware e software prescelto, convertire servizi o applicazioni da on-premise a cloud prevede una serie di step graduali. Ed è lavorando per singoli step che è possibile garantire la sicurezza e la
continuità dei servizi; non dobbiamo dimenticare che le attività di migrazione comprendono passaggi critici e molto delicati, dato che includono lo spostamento di parti di infrastruttura e di processi strategici vitali per le imprese.
Anche per questo motivo la scelta del provider cloud è strategica e influenza senza ombra di dubbio il futuro delle attività che saranno intraprese dal cliente.
Un fornitore di esperienza e con un portfolio variegato di progetti già realizzati, con costi chiari, competenze qualificate e un servizio di assistenza avanzato, porterà vantaggi e benefici sia nel momento della progettazione e set up, che a migrazione avvenuta.
Migrazione tra provider
Avviare una migrazione tra provider, supponendo l’esistenza di un’architettura di rete e servizi già funzionante, può risultare ancora più delicato. Se si prevede il passaggio da uno specifico provider ad un altro è opportuno chiarire, con una scrupolosa analisi, le differenze architetturali e operative tra le due realtà.
Se l’inserimento dei dati e delle singole applicazioni costituisce un’attività relativamente semplice, il trasferimento delle applicazioni verso una nuova piattaforma cloud può risultare più complesso e costoso. Questo può verificarsi per via delle differenze legate agli ambienti in uso tra i due provider, un aspetto che può richiedere un periodo di assestamento prima di raggiungere la piena operatività. L’attività potrebbe essere ulteriormente rallentata dalla difficoltà di comunicazione tra provider stessi. Anche per questo, le organizzazioni che stanno valutando soluzioni cloud dovrebbero elaborare da subito eventuali variabili di uscita per il futuro, per evitare il cosidetto vendor lock-in.
Per ridurre al minimo le possibili criticità di una procedura articolata come la migrazione, le imprese devono puntare su partner solidi, capaci di offrire un ampio e strutturato supporto consulenziale oltre che tecnologico.
Un team dedicato è solitamente composto da referenti che vantano competenze e skill differenti e sono in grado di occuparsi dell’attuazione di tutta la procedura: dalla progettazione all’esecuzione, assicurandosi che l’infrastruttura sia disponibile in produzione nei tempi e secondo le esigenze del cliente.
La migrazione, e poi?
Solitamente quando un’impresa intraprende il percorso di migrazione per un singolo tassello della propria infrastruttura, seguono poi ulteriori passaggi di sistemi IT che vengono spostati in cloud. È frequente partire in primis scegliendo di irrobustire i processi di backup e disaster recovery attraverso il cloud. La nuvola permette infatti di beneficiare di repository sicuri e facilmente accessibili, il tutto con costi di avvio relativamente contenuti (e inferiori all’acquisto dell’hardware e del software per lavorare on-premise).
Questo processo implica il coinvolgimento strategico del fornitore di servizi/provider nei piani di sviluppo dell’impresa cliente. Delegando a fornitori esterni la gestione di attività non core e scegliendo di passare dalle formule CAPEX ai modelli OPEX, l’impresa può liberare risorse finanziarie, umane e tecniche e concentrarle in attività più attinenti al business specifico. Tale vantaggio riguarda anche le realtà più piccole, che possono avere accesso a nuove tecnologie e nuove competenze, a beneficio dell’innovazione dei processi e delle attività core.
Se la migrazione porta con sé importanti modifiche nelle realtà aziendali, lo spostamento in cloud offre in particolare agilità, riduzione dei carichi di lavoro all’interno dell’impresa, riduzione dei costi e un ripensamento delle pratiche di gestione e manutenzione.