Memorizzare i dati nei dispositivi informatici: se fino a neppure troppo tempo fa si trattava di un’attività ad esclusivo appannaggio dell’
hard disk (o HDD,
Hard Disk Drive), oggi dopo una gloriosa esistenza pluridecennale, il caro vecchio “disco fisso” si avvia, progressivamente, ad abbandonare lo scenario digitale.
La sua presenza - quantomeno a livello concettuale - è stata in larga parte soppiantata da quella dei cosiddetti
SSD, Solid State Drive,
le unità di storage a stato solido.
La finalità, quindi, è la stessa, mentre a livello di tecnologia costruttiva, si tratta di componenti completamente diversi.
Come funzionano le unità SSD?
Testine e piatti di rotazione, cioè gli elementi essenziali di un HDD sono di tipo meccanico, nel caso dei dischi allo stato solido, il cuore è rappresentato da un
chip di silicio.
Un'unità SSD, infatti, legge e scrive dati su
microprocessori di memoria flash interconnessi e realizzati in silicio “impilati” in una griglia, in modo da ottenere diverse densità.
I chip, a loro volta, utilizzano transistor a
gate flottante (
FGT, Floating Gate, Transistor) per mantenere una carica elettrica tale da consentire all'unità SSD di
memorizzare i dati anche quando non è collegata a una fonte di alimentazione. Ogni FGT contiene un singolo bit di dati, indicato con un 1 se la cella è carica, o con uno 0 se la cella non ha carica elettrica.
Per connettersi alle schede madri utilizzano specifici collettori, i
SATA (Serial Advanced Technology Attachment).
Le unità SSD utilizzano tre tipi principali di memoria:
- Celle a livello singolo (SLC, Single Level Cell): la tipologia più costosa, ma anche la più veloce e duratura.
- Celle a livello triplo (TLC, Triple Level Cell): la più economica, ma anche quella con la velocità di scrittura più basse, nonché la meno durevole.
- Celle a livello multiplo (MLC, Multiple Level Cell): le più capienti, ma anche le più lente e costose.
I vantaggi degli SSD
- la totale assenza di parti meccaniche soggette a usura e al rischio di danneggiamento da impatto o caduta rende questo genere di dispositivi molto più forti dei loro simili della precedente generazione.
- grazie all’architettura di costruzione basata su chip di memorie flash, le prestazioni in lettura e scrittura sono molto elevate. Tanto per avere un’idea, un SSD standard può leggere e scrivere dati a una velocità variabile dai 520 ai 550 MBps (MegaByte al secondo), mentre un hard disk tradizionale non va oltre una velocità di lettura e scrittura di circa 125 MBps. In generale, dunque, la velocità di lettura e scrittura di un SSD è circa quattro volte superiore rispetto a quella di un HDD.
- molto compatte, in grado di portarli all’interno di dispositivi di tutte le dimensioni: non più solo computer, notebook, server stand alone per i data center e per il cloud computing ma anche smartphone tablet, device multimediali e perfino chiavette Usb.
- l’assenza di parti in movimento rende le unità SSD meno bisognose di energia rispetto agli HDD.
- anche qui, la mancanza di elementi mobili rende le SSD molto poco rumorose.
- a parità di capienza di storage, le unità SSD sono mediamente più costose delle unità disco tradizionali.
Quanto durano gli SSD
Una delle principali differenze con gli HHD, la durata, rappresenta per le unità SSD anche una grande peculiarità. Queste ultime, infatti, si caratterizzano per una sorta di
obsolescenza programmata, come se, la loro data di scadenza fosse definita al momento della loro costruzione.
In termini più concreti, ciò si traduce nella possibilità di scrivere i dati in una cella di immagazzinamento all’interno del chip per
un massimo di 100 mila volte, a seconda della tipologia del device. Oltre questo limite, le celle non riescono più a immagazzinare i nuovi dati o, meglio, li dimenticano e, in ogni caso, con il passare del tempo, possono essere soggetti a malfunzionamenti e cali di prestazioni.
In generale, tuttavia gli SSD di nuova generazione sono anche più affidabili rispetto ai dischi HDD: da uno studio condotto dall’Università di Toronto e Google, è risultato che gli SSD vengono
sostituiti il 25 per cento in meno delle unità a disco rigido.
Per massimizzarne, il più possibile, la durata, il funzionamento delle celle è gestito da speciali controller che, sfruttando le capacità di particolari algoritmi che, sfruttando tecniche di distribuzione e livellamento dei dati (
wear-leveling), fanno sì che vengano distribuiti in maniera uniforme.
La “vita restante” di ogni SSD può essere
verificata in ogni momento, in tempo reale, mediante uno strumento di analisi ad hoc denominato
S.M.A.R.T. (Self-Monitoring, Analysis, and Reporting Technology).
Come scegliere un SSD
La prima cosa da fare, come sempre quando ci si appresta ad acquistare una nuova componente hardware, è la verifica della compatibilità con il dispositivo nel quale si intende installarla.
L’altro parametro è, ovviamente, la capacità di storage del disco SSD, che può variare
dai 64GB (GigaByte) ai 4 TB (TeraByte). Il taglio standard, oggi, è quello da
1TB che offre un rapporto capienza-costo ottimale.