La quarta rivoluzione industriale è un dato di fatto: la spinta all’automazione e alle nuove tecnologie produttive sostenute dall’informatizzazione porteranno inevitabilmente a un miglioramento della qualità del lavoro e a una maggiore produttività.
Questo non solo per i meriti intrinseci dello sviluppo tecnologico, ma perché è cambiato il modo di lavorare. Verrebbe da chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina, e se l’industria 4.0 sia figlia di un’evoluzione del paradigma lavorativo o piuttosto il contrario; le relazioni che si sono sviluppate nell’arco di poche decine d’anni tra tecnologia, demografia e produzione sono estremamente complesse.
Di chiaro e certo, però, ci sono le opportunità che questo sistema di interazioni produce, ovvero un approccio nuovo all’analisi e all’utilizzo dei dati che si traduce nella possibilità di anticipare le tendenze di mercato, in un miglior utilizzo delle risorse e del tempo e nella possibilità di avvicinarsi sempre di più alle esigenze dei clienti e degli interlocutori commerciali.
Una trasformazione capace di creare posti di lavoro, avvicinare domanda e offerta, rivoluzionare l’industria manifatturiera come quella dei servizi e in cui il “maggior fatturato” è una piacevole conseguenza di un nuovo modo di fare impresa.
Quando si parla di quarta rivoluzione industriale, si parla necessariamente di tecnologie abilitanti, senza le quali vengono a mancare le condizioni per la digital transformation.
“L’industria 4.0 ha bisogno di un set di servizi che sono la gestione di grandi quantità di dati e capacità elaborative consistenti, una Business Continuity che supporti questi servizi; quindi si può considerare il data center come un vero abilitatore dell’industria 4.0.” racconta Matteo Corsi, Chief Information Security Officer di Aruba, intervistato su “Ricomincio da… 4”, la piattaforma online dedicata alla diffusione della cultura dell’Industria 4.0, promossa e realizzata da Federmeccanica.
In questo contesto, i data center vivono una duplice natura: da una parte manifestazione fisica di una tecnologia abilitante, dall’altra essi stessi industria 4.0. Come tali devono sostenerne le sfide rappresentate da una rimodulazione dinamica del lavoro così come la necessità di garantire la sicurezza su più fronti, da quello tradizionale degli accessi fisici fino a quello della cyber-security.
Aruba ha dimostrato flessibilità e costante ricerca di soluzioni sempre nuove e funzionali, in modo da offrire servizi che non si limitano a una “semplice” attività di service providing sotto forma di spazi, macchine, soluzioni cloud e infrastrutturali, ma che vanno oltre, con una serie di competenze gestionali funzionali a sono in grado di offrire ai clienti esattamente ciò di cui hanno bisogno, caso per caso, innovando e adattandosi in continuazione a processi produttivi differenziati e adattati alle singole necessità.
Ma le tecnologie abilitanti sono sufficienti da sole ad attivare il processo di trasformazione digitale?
Come dimostra l’esperienza di Aruba, è la flessibilità e la capacità di reinventarsi continuamente nell’ottica del continuo miglioramento a essere il vero e principale abilitatore all’industria 4.0: in una parola, l’attitudine al cambiamento.
Le nuove tecnologie cambiano le imprese e il lavoro solo se queste sono capaci di abbracciare una trasformazione profonda, che passa per una cultura dell’innovazione: la stessa cultura che Aruba porta ai suoi clienti sotto forma di servizi e competenze.
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